La recensione dello scrittore Alessandro Cartoni

N.B. Questa recensione contiene lievi cenni di anticipazione sulla trama.

Immaginiamo per un attimo che il principio di prestazione che domina ubiquitariamente il mondo del lavoro occidentale in un futuro non troppo remoto si trasformi in qualcosa di diabolico e abominevole in cui la vita degli uomini sia tutta dedicata alla produzione. Ebbene in tale mondo le attività propriamente “umane” quali l’arte, le relazioni, il gioco, il tempo libero, l’eros, la contemplazione sarebbero direttamente espulse dall’esistenza e dalla società per far spazio a una gigantesca repressione addizionale che ridurrebbe l’individuo a puro strumento di lavoro e produzione. È questa l’utopia negativa che fa da contesto al romanzo d’esordio di Francesco Troccoli "Ferro sette" edito da Armando Curcio, da poco in libreria. Con la maestria di un vero artigiano di science fiction, Troccoli ci racconta la storia di una conversione morale, quella del protagonista Tobruk Ramarren che da miliziano e cacciatore di taglie si trasforma in ribelle e decide di lottare per un mondo diverso all’altezza della dignità umana. 
L’ambientazione è quella ruvida, cavernosa e scarna del distretto minerario proiettato nel futuro di una galassia lontana in cui la parola “terra” evoca soltanto un fascio confuso di racconti mitici. Il nuovo mondo null’altro è che un teatro galattico dominato da guerre, imperialismi e gerarchie militari. Ne esce fuori una storia di avventure, scontri, agnizioni, perdite e riconoscimenti che si fa leggere tutta d’un fiato. 
Un romanzo di fantascienza quindi che lancia un monito al futuro e che ci mette in guardia contro ogni totalitarismo compreso quello dell’utilità produttiva.

Alessandro Cartoni

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